martedì 23 novembre 2010

Fantasia

'L'umanità sarà ancora capace di fantasia nel duemila?' gli chiese il regista Maselli inquadrandolo nella cinepresa. E lui dopo un'interminabile pausa di dieci secondi:
'Sono piuttosto diffidente con questo imperativo della creatività. Io credo che per prima cosa ci vogliono delle basi di esattezza, metodo, concretezza, senso della realtà. E' soltanto su una certa solidità prosaica che può nascere una creatività: la fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane. Se no, rimane come una cosa informe, come una marmellata, su cui non si può costruire niente.'
 
(Italo Calvino)

lunedì 18 ottobre 2010

Grazie!

Cari artisti, qualche riga per dirvi grazie.
Intanto per la vostra disponibilità, per nulla scontata, a partecipare ad una rassegna d'arte contemporanea senza finanziamenti, né pubblici, né privati.
Grazie anche per il vostro coraggio ad esporvi in questa iniziativa insieme a noi, appassionati dilettanti della progettazione curatoriale, per un progetto espositivo certamente non semplice, sia per la complessità del tema, sia per le difficoltà nell'uso degli spazi a nostra disposizione.
Un grazie anche, a quelli di voi che hanno potuto essere presenti, per l'aiuto materiale alla realizzazione dell'allestimento, anche questo non scontato, e senza il quale non avremmo mai potuto finire in tempo per l'apertura della mostra.
Ma soprattutto un grazie per la qualità dei vostri progetti artistici, con i quali abbiamo potuto concretizzare le nostre/vostre “traduzioni”.
Il successo di quest’esperienza, che possiamo dedurre dal numero dei visitatori e dalle loro dimostrazioni di apprezzamento, lo dobbiamo quindi a voi e alla qualità del vostro lavoro, ma anche alla vostra effettiva collaborazione alla riuscita del progetto.

Ancora grazie di cuore,
 codec (Carmelo, Manuela, Massimo)

Ma anche a tutti coloro che ci hanno aiutato, materialmente e non:
Alberto e Gabriele Del mela, direttori della Scuola Toscana, che ci ha ospitato;
Asli Bicakci, per i contatti con la Turchia e la presenza costante;
Francesca Bertocci, per il bellissimo specchio;
Cristina Dal Rio per il "distributore di idee";
Fabrizio Masini, per le "questioni elettriche";
Luigi Maggio, Simon Judge, Solal Abeles, Cornelio e Cosimo, per la grossa mano nella sezione "montaggio&smontaggio";
Ewa Dziejuch, Carla Konsten, Maria Josè Moraza, Solal Abeles, Izumi Hashimoto, Melina Kistani, Gerda Helena Schwenger per le traduzioni;
e ancora studenti e amici stranieri, presenti con le loro voci;
Grazie anche a voi!

martedì 12 ottobre 2010

Ximena e Aleksandra per PF#6.12

Manuale per gli Italiani in Italia, 2010, Video
(realizzato da Ximena Zuniga e Aleksandra Zurczak)



Vol.1 : Come approcciare uno straniero

Questo video vuole fornire agli Italiani una semplice guida per avvicinare uno straniero per strada in caso di necessità, partendo dalla premessa che identificare la provenienza dello straniero sia necessario per trovare il modo giusto di porre domande semplici - ad esempio indicazioni stradali, l'ora o anche di scattare una foto – e ottenere delle risposte utili.

-Parte I: Identificare la possibile provenienza dello straniero.

-Parte II: Come formulare la domanda a seconda del paese di provenienza dell’interocutore per ottenere delle risposte.

«Come stranieri che abitano in Italia ci rendiamo conto, dopo un po’, di qual è l'immagine che gli italiani hanno di noi. In modo ironico, abbiamo voluto prendere in giro gli stereotipi con cui veniamo classificati, rappresentandoli in modo palese; sia perché dietro ogni stereotipo c'è un po’ di verità e sia per evidenziare che, tra stranieri, pur cercando di amalgamarci alla cultura che ci ospita, rimane in ognuno di noi una identità culturale che non potremo mai ignorare, nemmeno dopo anni vissuti lontano dalle proprie radici». (Ximena Zuniga e Aleksandra Zurczak)

Ximena Zuniga per PF#6.12

Idee da bere, 2010 Installazione


Se c’è un’internazionale compiuta, questa è l’internazionale del consumo. In epoca di globalizzazione selvaggia, di americanizzazione del mondo, il mercato è il luogo in cui tutti, in quanto consumatori, siamo “uguali”, tutti parliamo la stessa lingua. 
Partendo da questo modello di democratizzazione illusoria, da questa omogeneizzazione delle differenze nel segno del commercio, in virtù dei quali tutto si può comprare, la Zuniga gioca con i simboli del consumo mettendo in vendita, attraverso un distributore automatico, anche le idee. Per pochi centesimi è possibile acquistare qualsiasi prodotto e “dare da bere” qualsiasi cosa.

Home is where you make it, 2008, Legno e pvc

Cosa definisce la nostra identità? Il luogo da cui proveniamo o quello in cui ci sentiamo più a casa? Questa è la domanda che ci pone Home is where you make it, un plastico costruito su un comune tappeto domestico, un oggetto che normalmente individua la soglia che separa l’interno dall’esterno, la frattura tra l’ignoto e la conoscenza, tra l’indifferenziato e ciò che è nostro, il pubblico e il privato. Nella soglia di casa è posto in evidenza il problema dell’abitare. Paradossalmente, proprio questa soglia diventa per la Zuniga il supporto di una visione di sradicamento: rappresentazione della distopia suburbana per eccellenza, quella americana. Un quartiere qualsiasi, completamente anonimo, con prati e casette, dove si finisce per costruirsi un’identità a-territoriale, disancorata da ogni possibile genius loci.

Family Portrait, 2007, Pvc, foto e oggetti vari


Pezzi di memoria a comporre un ritratto familiare mosso e iridescente. Ancora una volta una riflessione sull’identità. Individuale o piuttosto multipla, separata o da organizzare nel disegno di una complessa costellazione familiare?

Letteria Giuffrè Pagano per PF#6.12

Acerbo incantamento, 2010 Installazione

Pagine e pagine... Provo gioia e un senso di libertà nello scrivere sulle superfici delle tele. A volte scrivo delle storie, incompiute, come fossero stralci di pagine di libri. Uso la mia lingua e il mio dialetto, il siciliano, quasi a cercare un contatto più arcaico fatto di suoni, significati, sapori, immagini.
In alcuni casi sono le fiabe e i sogni che ispirano le scritture, giocando con questi elementi la calligrafia diventa ora segno ora forma ora linguaggio segreto, traccia e memoria. Pagine arrivate dal passato, reperti trovati chissà dove o oracolo che che ci svela qualcosa di noi o del nostro tempo? L'ambivalenza è sempre prepotentemente presente.
Attraversando una babele di segni, la calligrafia sulla superficie della tela diventa irriconoscibile, un non-linguaggio. Qui c'è il sapore del mistero. L'incontro con il non-conosciuto, con l'infanzia forse.“ (Letteria Giuffrè Pagano)

Opere esposte:

1. Liber / scritture su tela, 2010 Acrilico, matita, foglia d'oro su tela



2. Liber 129, 2010 Acrilico, matita su tela, cm 50x50
3. Paper / scritture su carta, 2010 collage di carta, acquarello, matita su carta, cm 35x35 ciascuno


Ismail Acar per PF#6.12

Roxelana, 2001, Cartoncino traforato, 300x210cm



Roxelana, la “rossa”, è il ritratto di un celebre e ambiguo personaggio della storia turca. Il suo vero nome era forse Aleksandra Lisowska, veniva dall’Ucraina, e fu comprata al mercato degli schiavi di Istanbul dal gran visir Ibrahim Pascià per darla in dono al sultano Solimano il Magnifico (secondo alcuni studiosi, Roxelana fu inizialmente donata al padre di Solimano, Selim, che, non essendo più in età di goderne, la cedette al figlio). Nel 1534, grazie alle sue doti di seduttrice, ma anche alla sua abilità di narratrice, riuscì a farsi sposare dal Solimano diventandone l'unica veneratissima moglie. Il sultano aveva già un figlio, il vero erede al trono, ma Roxelana riuscì a farlo uccidere aprendo la strada ai propri figli Bayezid e Selim.
L’opera si compone di nove pannelli di cartoncino bianco traforato: una riproposizione aggiornata della tipica tradizione scultorea e architettonica ottomana. Acar rivisita la memoria decorativa turca in senso bidimensionale, asciugandone gli aspetti più vistosamente esornativi e vernacolari all’interno di una rigorosa ricerca dell’essenza. Roxelana ha vinto il primo premio della Biennale di Firenze del 2009 come migliore opera su carta.

Blu-Mosque, 2009, Olio su tela.



Blu-Mosque non è una semplice descrizione della grandiosa Sultanahmet camii (1597-1616), più nota come Moschea Blu, fatta costruire dal sultano Ahmed, per quanto la tecnica pittorica e l’iconografia rimandino a una modalità di rappresentazione vagamente oleografica. E’ piuttosto un’iper-architettura, un affascinante gioco di specchi; moltiplicazione abnorme di elementi riconoscibili della facciata che, giustapposti in sequenza, generano una “caduta in abisso” in senso orizzontale. Acar rilegge in chiave fantastica e ossessiva il tema dell’appartenenza religiosa: l’Islam raccontato come smisurata dimora del credente, come ripetizione di riti, porte e preghiere, come vertiginosa inflazione identitaria.

Francesco Lastrucci per PF#6.12

Vanishing Kashgar

Kashgar è il centro della cultura e dell'etnia Uighur, popolo di discendenza turca, la maggior parte del quale risiede attualmente nell'odierno Xinjiang, nella Cina Occidentale, e rappresenta il 77% della popolazione della città.
Nel IX secolo gli Uighur, migrando dalla Mongolia, si insediarono in villaggi intorno al deserto. Da buddhisti, cominciarono a convertirsi all'Islam 300 anni dopo. Nei seguenti 1000 anni Kashgar ha conosciuto la prosperità, la decadenza e l'oppressione cinese.
Gli Uighur hanno brevemente assaporato l'indipendenza nel 1933, dichiarando la Repubblica del Turkestan Orientale, durata solo un anno, estesa dai Monti Tian Shan alla catena del Kunlun. Nel 1944, con il governo nazionalista cinese al collasso, gli Uighur fondarono la Seconda Repubblica del Turkestan Orientale, che ebbe fine nel 1949, con l'ascesa di Mao Zedong. Dal 1955 la Cina riconosce la Regione Autonoma Uighur dello Xinjiang, con scarsi poteri locali; gli Uighur ne sono il maggior gruppo etnico.


Nei secoli la vita nella città di Kashgar, uno dei più importanti nodi dell'antica Via della Seta, era rimasta pressoché inalterata. Ora gli edifici di mattoni di fango, distribuiti lungo labirinti di stradine impolverate dalle sabbie del deserto del Taklamakan, sono oggetto di un piano di rilancio da parte del governo cinese, che nel 2009 ha annunciato il programma “Riforma delle Case Pericolose di Kashgar”: per i prossimi anni è stata pianificata la demolizione di moschee, mercati e case secolari, l'85% della Città Vecchia.
I residenti verranno indennizzati e spostati nei nuovi casermoni di cemento che sorgono nella periferia. Al posto degli antichi edifici di mattoni di fango ci saranno moderni blocchi di appartamenti e uffici, alcuni decorati con cupole in stile islamico, a evocare la gloria passata; ma generalmente la città nuova assomiglierà ad ogni altra città cinese, con strade larghissime e grandi edifici di cemento armato.


Il governo ha stabilito di conservare una piccola parte della Città Vecchia sostenendo che le demolizioni servono a fortificare la città contro i terremoti. In realtà il piano riflette la convinzione governativa per cui le minoranze etniche non possono contribuire alla modernizzazione della società. Inoltre la maggior parte dei residenti non ha diritti di proprietà, questo li rende stranieri in casa propria e facilmente ricattabili a vantaggio di spregiudicate speculazioni.
Così la Città Vecchia, in cui nessun cinese vive e dove pochissimi Uighur parlano Mandarino, verrà distrutta o trasformata in un parco turistico a tema e la sua popolazione reinsediata altrove, secondo un modello usuale per la Cina odierna in cui nessuno ha chiesto l'opinione degli Uighur.


Francesco Lastrucci descrive con sguardo appassionato la vita della comunità Uighur, con i suoi riti, i suoi commerci, la sua silenziosa resistenza al “recupero” cinese, mentre le memorie fisiche della città di Kashgar vengono sistematicamente cancellate. Un’identità sotto assedio, quella di Kashgar, stretta in uno scientifico progetto di annullamento. Tra la polvere del deserto mescolata a quella delle case in demolizione si colgono volti e luoghi sul punto di svanire.

lunedì 11 ottobre 2010

Enikő Lőrinczi per PF#6.12

Selva dei destini incrociati, 2010 Installazione

La mostra/installazione si basa su un gioco combinatorio liberamente ispirato al Castello dei destini incrociati di Italo Calvino. Chi vi entra è chiamato a farsi viaggiatore e ad addentrarsi in una selva di immagini e parole per diventare narratore/interprete/traduttore della propria esperienza visiva e sensoriale.
Le immagini godono della totale libertà di raccontare storie, suggerire sensazioni e possono mutare a seconda dei punti di vista adottati. Il linguaggio della visione, per Lőrinczi, trascende la lingua stessa: è capace di suscitare intuizioni, generare microstorie, tentare “traduzioni”. Il visitatore è invitato a interpretare le carte/immagini seguendo il filo narrativo suggerito dall'autrice, o scegliere di selezionarle casualmente, come se dovesse estrarle dal mazzo di tarocchi del romanzo di Calvino. In questo modo può ipotizzare itinerari e connessioni del tutto personali, intrecciati con le proprie esperienze di vita; liberando l’inesauribile potenziale significante delle immagini. La selva immaginaria, dunque, diviene il luogo dove le storie, i destini, i percorsi di persone tra loro assai diverse si possono incrociare, anche solo per un tempo infinitesimale.

1. Blurred Vision/Visioni appannate
(2 serie di 8 fotografie 30x30cm, realizzate tra il 2006 e il 2010)


2. Astrazione collettiva
(21 fotografie 30x30cm, realizzate tra il 2006 e il 2010)



3. Poesia immaginata
(5 fotografie B/N 30x40cm – testo di Massimo La Spina)



4. Installazione
(fotografie di Enikő Lőrinczi - testo di Massimo La Spina - traduzioni di Enikő Lőrinczi, Ewa Dziejuch, Maria Josè Moraza, Solal Abeles, Izumi Hashimoto, Melina Kistani, Gerda Helena Schwenger)


Cyop&Kaf e Diego Miedo per PF#6.12

Cyop&Kaf - Permesso di soggiorno, 2010, Tecnica mista su cartone e stoffa

Diego Miedo - Babylon Fallin’ 1 e 2, 2010, china su carta.


Lo statuto di straniero non è sempre stato lo stesso nella storia. I greci distinguevano tra barbaro (barbaros) e straniero (xenos). Il barbaro è il nemico, portatore di ostilità, non di saggezza; appartiene a una specie diversa di uomini, presenta nei tratti fisici come nei comportamenti sociali un aspetto tale da farlo apparire mostruoso. Lo xenos ha un legame con il sacro, è un inviato di Zeus Xenios, protetto da Athena Xenia, è rappresentante di umanità, figura dell’eccezione, sfuggente alle definizioni e pertanto portatore di misteriosa individualità. La concezione dello straniero come barbaro è intervenuta quando i greci, durante le guerre persiane, hanno sentita messa in discussione la loro implicita superiorità culturale e, deboli sul piano bellico, hanno avuto bisogno di sentirsi superiori sul piano civile a chi, nella lingua della civiltà, sapeva tutt’al più balbettare. Gli stranieri rappresentati in Permesso di soggiorno sono gli “extracomunitari”, i “migranti”, gli “immigrati”, i “clandestini”, i “profughi”, i “rifugiati”: nuovi barbari della modernità occidentale, quelli a cui viene negato lo status di “ospiti”, con le regole sacre e inviolabili ad esso connesse; quelli che la civilissima Europa considera un’emergenza o un problema di sicurezza. Le creature antropomorfe, barbaricamente mostruose di Cyop&Kaf e Diego Miedo, mettono in scena le modalità di “accoglienza” che le comunità di approdo riservano all’altro da sé.

Azzurra Argentieri per PF#6.12

World Words, 2010 Installazione sonora


Provocatoria riflessione sonora sul clima di pogrom in cui viviamo. La registrazione di una deriva autoritaria, di una temperie, di un’ideologia qualunquista che alimenta le paure delle maggioranze consenzienti. Un’incursione ironica dentro luoghi di culto e canti di ogni confessione religiosa, pubbliche piazze, non-luoghi urbani e virtuali, tribune mediatiche e presunti incubi collettivi. Un miscuglio di voci altisonanti e retoriche, sinistramente aggressive, contrappuntate da flebili inviti al dialogo e all’inclusione da parte di chi cerca “traduzioni” possibili, dall’ottimismo della volontà del celebre “Yes we can!” obamiano, all’appello all’arte, contenuto in un celebre brano de La messa è finita di Moretti, come possibile via d’esodo dinanzi alla violenza razzista. Un viaggio nel buio di una paranoia identitaria in cui certa politica vuole precipitarci, ponendo la difesa ossessiva del “particolare” e della “norma” quale paradigma della propria integrità culturale, scudo protettivo verso qualsiasi invasione barbarica.

Aleksandra Zurczak per PF#6.12

Antonimo, 2009, (“C’era una montagna dove era casa mia - C’era una montagna dove era il mio inferno”) artbook - Grafite su carta



Bastione, 2008, artbook - Grafite su carta



Argomento essenziale degli artbook “Antonimo” e “Bastione” è la dialettica tra il punto e la massa, la parte e il tutto.
La contrapposizione di quantità e qualità provoca continui cambiamenti nelle singole parti, predisponendole alla deformazione sul piano corporeo e psichico.
Esiste un luogo, si chiede la Zurczak, nel quale l’uomo può dirsi totalmente libero? Nel quale può sentirsi al riparo, per osservare, osservarsi e mettersi alla prova? Un luogo in cui l’identità non si senta minacciata da tensioni centrifughe e dispersive?
Tale posto, se c’è, è reale?
Al fine di trovarlo l’artista intraprende un viaggio reale e mentale per immagini. Scala le cime più alte, si inoltra nelle grotte più profonde. Ovunque però ottiene solo un deforme, piccolo punto, che cerca la libertà, un rifugio, ma resta invariabilmente schiacciato dall’infinità della materia. Come a dire che il problema della conservazione dell’identità, forse, non è tanto quello del ripristino di un io compatto e monotono, quanto quello di un possibile controllo della tendenza alla dispersione delle numerose anime che abitano l’individuo: un problema di equilibrio dinamico, di governo flessibile della molteplicità.

sabato 11 settembre 2010

CV artisti

Aleksandra Zurczak
Nasce a Konin, in Polonia, nel 1983, si diploma all’Accademia di Belle arti di Poznan (Polonia). Nel 2006 svolge uno stage presso l’Università di Tennessee a Knoxville (USA). Nel 2009 ottiene una borsa di studio per accedere al biennio specialistico all’Accademia di Belle arti di Firenze, città dove adesso vive. Le tematiche dei suoi lavori sono esistenziali, con continue incursioni nel territorio del sogno e del mito. Nella sua poetica, mai ancorata a un’unica tecnica, scultura, disegno e pittura si mescolano per realizzare installazioni unitarie. Ha esposto le sue opere a Prato, Cracovia, a Poznan, a Budapest, a Tolmezzo, a Udine e a Knoxville.


Azzurra Argentieri 
Nata a Brindisi nel 1982, si è laureata in Scienze Umanistiche con una tesi in Storia e critica del cinema alla Sapienza di Roma, città dove attualmente vive. Partendo dallo specifico cinematografico, esplorato in tutti i suoi aspetti - tecnici, figurativi, linguistici, critici - è approdata al sound design. Ha partecipato a numerosi festival di cortometraggio, come autrice e come regista. Nel 2009, insieme ad altri artisti multimediali, ha fondato il collettivo dei Molecular Project con cui ha organizzato una mostra dal titolo “Sinestesia” nel palazzo delle esposizioni della città di Tsagkarada-Mouresi, in Grecia, realizzando un’installazione sonora.



Cyop&Kaf (Monitor)
Napoli Monitor è un giornale indipendente di inchieste, cronache, reportage e disegni che una volta al mese racconta i fatti di Napoli e delle altre città italiane, nonché storie dal mondo.
Dopo due numeri zero nel 2006, esce con regolarità dal gennaio 2007. In Monitor particolare attenzione viene data alla scrittura e all’illustrazione. Quest’ultima, lungi dall’essere puramente esornativa, racconta e descrive la realtà al pari degli articoli. Tra gli illustratori di cui Monitor si vale ci sono Cyop&Kaf, che spesso si divertono a far cortocircuitare le proprie personali letture della realtà in opere collettive. I loro lavori di street art, oltre che comparire all’interno del mensile in forma grafico-narrativa, si infiltrano nei quartieri borghesi e nei più scuri vicoli dell’immensa periferia napoletana, proponendosi come sabbia nell’ingranaggio del monopensiero imperante.


Enikő Lőrinczi
Ungherese, nasce nel 1974 in Transilvania. Si diploma a un liceo linguistico in Ungheria, insegna danza in Germania, si laurea in lingue alla Facoltà di Lettere di Firenze. Solo alla soglia dei trent’anni arriva a capire di aver sbagliato strada. Dopo aver passato anni a studiare filologia e lingue straniere per un’efficiente comunicazione interpersonale e interculturale scopre la potenza significante dell’immagine e intraprende un percorso di studio e di sperimentazione perenne del linguaggio della visione. L'ambiente umano in generale è il primo "naturale" soggetto verso cui rivolge l'interesse e l'obiettivo. La società e i suoi prodotti materiali costituiscono i temi prediletti della sua ricerca fotografica. Attualmente vive e lavora come docente di lingua inglese nella provincia di Teramo e pratica la fotografia come stile di vita.


Francesco Lastrucci
Nato a Firenze nel 1977, è un fotografo freelance che si occupa prevalentemente di storie editoriali. Dopo aver intrapreso gli studi di architettura si trasferisce a Stoccolma e si dedica completamente alla fotografia, mantenendo una naturale sensibilità spaziale evidente nel suo bisogno di documentare le trasformazioni dei luoghi e la perdita delle memorie fisiche che comportano. Attualmente si divide tra l'Italia, New York e Hong Kong. Sta lavorando a progetti di racconto di luoghi e città in Europa, America Latina e Asia orientale. È un frequente collaboratore di importanti riviste e quotidiani di Nord America, Europa e Asia.Tra questi il New York Times, The Independent on Sunday, CNN, Vanity Fair, Intelligence in Lifestyle, The Smithsonian.


Ismail Acar 
Nato nel 1971 a Su, Sivas, in Turchia, si è laureato alla Facoltà di Belle Arti di Marmara a Istanbul. Nel 1994 ha lavorato a New York con Davide Salle. Nel 1999 ha organizzato la sua prima mostra personale nel museo di Santa Sofia, a Istanbul. Ha partecipato a numerose mostre in tutto il mondo; a Ginevra, Praga, Saint Tropez, Tokio. In Italia ha già esposto alle biennali di Firenze (dove ha vinto il primo premio nel 2007 e nel 2009), Ferrara e Chianciano. Il suo linguaggio pittorico nasce da una rilettura personale e profonda della tradizione culturale e spirituale turca. Vive e lavora a Istanbul, dove possiede un grande atelier che si compiace di aver organizzato come un’efficiente bottega rinascimentale.


Letteria Giuffrè Pagano 
Nasce a Messina nel 1977, e si diploma in pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Nell’ambito della sua attività creativa, si è dedicata, oltre che alla pittura, anche al lavoro teatrale di ricerca e alla realizzazione di video. Nel 1999 fonda il gruppo Telluris Associati col quale realizza spettacoli, video, workshop, continuando nel frattempo a partecipare a varie esposizioni, rassegne e festival in Italia e all’estero. La sua ricerca muove dalla pittura come luogo dell’accadimento e del conflitto, della contraddizione e della domanda. Dopo anni di cromatismi intensi e stratificazioni materiche, i suoi ultimi lavori sono caratterizzati da quello che ironicamente considera lo “sciopero del colore”, ossia una maggiore predilezione per i campi monocromi che, trascendendo la pittura, quasi procede verso la scultura. Risiede a Pontedera e collabora con istituzioni, teatri, artisti e associazioni culturali locali.


Ximena Zuniga
Colombiana, è nata nel 1983 a Cali. Nel 1996 si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università pontificia Saveriana di Bogotà. Dopo tre anni di studi, pur mantenendo un forte interesse per la scienza medica, si ritira per dedicarsi allo studio dell’arte in Italia, sua vera passione. Si diploma, quindi, in scultura all’Accademia di Belle arti di Venezia, con una tesi sugli aspetti espressivi e “vitali” della plastica. Il suo lavoro di scultura performativa è un’ironica critica alla società del consumo che ci trasforma in mostri disposti a comprare qualsiasi cosa e in cui cercare una propria individualità all’interno del gregge è mera illusione. Ha vissuto in giro per il mondo, poi a Venezia e Milano. Attualmente vive e lavora a Firenze.

mercoledì 30 giugno 2010

idea-luogo

La scelta di una scuola di italiano per stranieri come luogo dell’esposizione è fortemente simbolica. Un luogo di attraversamento polifonico dentro una città di attraversamenti idiomatici e fisici.
Altrettanto intenzionale è la scelta di mettere insieme artisti di geografie, formazioni e linguaggi così eterogenei. Per moltiplicare le voci e le visioni. Siano esse basse o alte, straniere o estremamente prossime. Con una particolare attenzione per le voci meno udibili nel fracasso globale; e le visioni propositive, progettuali, ma non per questo meno critiche rispetto all’esistente.
Uno dei temi connessi con l’identità con cui abbiamo voluto misurarci è quello dello straniamento: dello straniero come portatore di sovvertimento, sconcerto, inquietudine.
Lo straniero non inteso solo come persona ma come procedimento artistico, recuperando la funzione rivelatrice che all’arte assegnavano i Formalisti russi del primo Novecento. Rivelatrice dell’aspetto inatteso degli oggetti e delle situazioni, così da far emergere una nuova realtà, far vedere gli oggetti come se li si vedesse per la prima volta.

fili

"A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili.
Dalla costa d'un monte, accampati con le masserizie, i profughi di Ersilia guardano l'intrico di fili tesi e pali che s'innalza nella pianura. È quello ancora la città di Ersilia, e loro sono niente.
Riedificano Ersilia altrove. Tessono con i fili una figura simile che vorrebbero più complicata e insieme più regolare dell'altra. Poi l'abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case.
Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma."

(da Le città invisibili di I. Calvino)

lunedì 21 giugno 2010

straniero?

«Non ho nessuna voglia di spiegare perché parlo esattamente come loro […] senza accento, cioè con lo stesso accento loro. È questo il metodo più sicuro di conservare il mio essere straniero a cui tengo sopra ogni cosa. Se avessi accento, in ogni momento, dovunque si scoprirebbe che sono straniero. Diventerebbe quotidiano, ovvio. Io stesso mi abituerei al fatto quotidiano di essere considerato straniero. E allora non significherebbe nulla che sono straniero, non avrebbe nessun significato.»

(Jorge Semprun, Il grande viaggio)

giovedì 17 giugno 2010

straniero

«…lo straniero non è colui che arriva oggi e parte domani, ma colui che arriva oggi e che domani non parte; che resta indefinitamente, e arricchisce con la sua specifica modalità di relazione il luogo e i suoi abitatori… »

(Georg Simmel)

mercoledì 16 giugno 2010

traduzioni radicali

TRADUZIONI RADICALI non dà risposte univoche o definitive rispetto al tema. Moltiplica, piuttosto, le domande. Propone un percorso problematico di punti di vista, di specchi, di riflessioni. Non indica conclusioni che non siano mobili e provvisorie. Appunto tremanti.
Le traduzioni del titolo alludono alla volontà di tentare connessioni, ordire trame, sollecitare dialoghi e incontri possibili attraverso i “manuali di traduzione” che le opere degli artisti presenti in mostra rappresentano.
Ma coinvolgono ed espandono anche il senso intrinseco del tradurre: il condurre le lingue, le culture, le opere umane attraverso un percorso di autochiarificazione, ancora una volta provvisorio, alla parte altra; clandestine conduzioni (fuori da itinerari preconcetti e leggi di flusso) di immagini e parole, visioni e scritture, suoni e silenzi; viaggi attraverso luoghi reali o dell'anima, spostamenti volontari o forzati di idee e di persone, codici di interconnessione, intrecci di fili tesi tra il mondo intimo dell'artista e il mondo esterno, attraversamenti di senso che si prendono il loro tempo e sfuggono alla traduzione simultanea, spingendosi fino alla intraducibilità come condizione finale di ogni linguaggio.
Gettare ponti. Promuovere ibridazioni. Partendo da sé, dal proprio angolo di visuale; avendo chiaro il senso della propria identità, con la sua forza e il suo valore. Assumendosi la responsabilità dell’altro da sé. E in questo essere avventatamente radicali.

progetto

Le parole hanno dei significati; alcune di esse, tuttavia, coprono un territorio di comportamenti e di idee, un campo di azioni e di cose, hanno come riferimento una famiglia di concetti e di oggetti. Una di queste parole complesse è identità.
Parole come identità - culturale, linguistica, di genere - diventano importanti proprio quando il loro senso è minacciato, perché indicano appunto valori che tremano, fluidi, caldi; valori che chiedono di essere soccorsi, o recuperati, o ancora che chiedono consapevolmente e razionalmente di essere agiti e trasformati.
L’identità non è un oggetto, ma l’esito di un processo. Un processo di differenziazione. La ricerca dell’identità è ricerca delle differenze. Solo il riconoscimento delle differenze consente di trovare le identità: differenza tra individuo e individuo, tra io collettivo e io collettivo, tra luogo e luogo, tra mondo e mondo. Quindi differenziazione in senso orizzontale, tra identità e identità, ma anche differenziazione interna verticale: differenze armonicamente composte entro la persona e l’individuo sociale, articolazione giudiziosa di un’identità molteplice.
Questo lo spunto iniziale. Da cui, poi, lo spettro di significati si espande per accedere alle accezioni particolari degli artisti presenti: perdita dell’identità e scomparsa delle memorie fisiche che la sottendono (Zuniga, Lastrucci); identità/tempo e identità meticcia, fatta di stratificazioni di narrazioni (Giuffrè, Lőrinczi, Argentieri); inflazione identitaria (Zurczak, Acar); identità multipla, plurale, insorgente (Monitor).