martedì 12 ottobre 2010

Francesco Lastrucci per PF#6.12

Vanishing Kashgar

Kashgar è il centro della cultura e dell'etnia Uighur, popolo di discendenza turca, la maggior parte del quale risiede attualmente nell'odierno Xinjiang, nella Cina Occidentale, e rappresenta il 77% della popolazione della città.
Nel IX secolo gli Uighur, migrando dalla Mongolia, si insediarono in villaggi intorno al deserto. Da buddhisti, cominciarono a convertirsi all'Islam 300 anni dopo. Nei seguenti 1000 anni Kashgar ha conosciuto la prosperità, la decadenza e l'oppressione cinese.
Gli Uighur hanno brevemente assaporato l'indipendenza nel 1933, dichiarando la Repubblica del Turkestan Orientale, durata solo un anno, estesa dai Monti Tian Shan alla catena del Kunlun. Nel 1944, con il governo nazionalista cinese al collasso, gli Uighur fondarono la Seconda Repubblica del Turkestan Orientale, che ebbe fine nel 1949, con l'ascesa di Mao Zedong. Dal 1955 la Cina riconosce la Regione Autonoma Uighur dello Xinjiang, con scarsi poteri locali; gli Uighur ne sono il maggior gruppo etnico.


Nei secoli la vita nella città di Kashgar, uno dei più importanti nodi dell'antica Via della Seta, era rimasta pressoché inalterata. Ora gli edifici di mattoni di fango, distribuiti lungo labirinti di stradine impolverate dalle sabbie del deserto del Taklamakan, sono oggetto di un piano di rilancio da parte del governo cinese, che nel 2009 ha annunciato il programma “Riforma delle Case Pericolose di Kashgar”: per i prossimi anni è stata pianificata la demolizione di moschee, mercati e case secolari, l'85% della Città Vecchia.
I residenti verranno indennizzati e spostati nei nuovi casermoni di cemento che sorgono nella periferia. Al posto degli antichi edifici di mattoni di fango ci saranno moderni blocchi di appartamenti e uffici, alcuni decorati con cupole in stile islamico, a evocare la gloria passata; ma generalmente la città nuova assomiglierà ad ogni altra città cinese, con strade larghissime e grandi edifici di cemento armato.


Il governo ha stabilito di conservare una piccola parte della Città Vecchia sostenendo che le demolizioni servono a fortificare la città contro i terremoti. In realtà il piano riflette la convinzione governativa per cui le minoranze etniche non possono contribuire alla modernizzazione della società. Inoltre la maggior parte dei residenti non ha diritti di proprietà, questo li rende stranieri in casa propria e facilmente ricattabili a vantaggio di spregiudicate speculazioni.
Così la Città Vecchia, in cui nessun cinese vive e dove pochissimi Uighur parlano Mandarino, verrà distrutta o trasformata in un parco turistico a tema e la sua popolazione reinsediata altrove, secondo un modello usuale per la Cina odierna in cui nessuno ha chiesto l'opinione degli Uighur.


Francesco Lastrucci descrive con sguardo appassionato la vita della comunità Uighur, con i suoi riti, i suoi commerci, la sua silenziosa resistenza al “recupero” cinese, mentre le memorie fisiche della città di Kashgar vengono sistematicamente cancellate. Un’identità sotto assedio, quella di Kashgar, stretta in uno scientifico progetto di annullamento. Tra la polvere del deserto mescolata a quella delle case in demolizione si colgono volti e luoghi sul punto di svanire.

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